Julián
Prima di andare da Sebastian, passai in macchina davanti a Villa Sol. Mi sembrava strano che fossero passati tanti giorni senza che avessi notizie di Sandra. Mi stavo preoccupando davvero, ero molto nervoso. Non era venuta ai nostri appuntamenti, non mi aveva lasciato nessun messaggio nella nostra cassetta del Faro e non mi era stato recapitato nessun biglietto neppure in albergo. Ormai sapeva come entrare lì, arrivare fino alla mia stanza senza essere vista e far scivolare un foglietto sotto la porta. Niente. Non era successo niente di tutto ciò.
Le finestre del secondo e del terzo piano di Villa Sol erano chiuse. Non avevo modo di accertarmi se Sandra se ne fosse andata all’improvviso. Avrebbe potuto cercare di darmi qualche spiegazione, ma se era dovuta scappare non sarebbe stato tanto facile. Se non avessi avuto paura di metterla in pericolo, avrei cercato di rintracciare l’Anguilla per chiedergli di lei. La verità è che non sapevo cosa fare. Avevano le mie foto, mi conoscevano, non potevo presentarmi a casa loro così. Perciò proseguii fino agli appartamenti Bremer, che come avevo sospettato erano di proprietà di Gerhard Bremer, un altro nazista che giocava con loro a golf, un ricco costruttore a cui nessuno aveva torto neppure un capello. Certamente lì Sebastian si sentiva al sicuro, ma era comunque un’imprudenza per un uomo della sua intelligenza, a meno che non pensasse che a nessuno sarebbe venuto in mente di cercarlo lì. E in effetti a me non sarebbe venuto in mente.
Parcheggiai lì vicino. Con il sole che picchiava sui vetri sembrava che il ristorante stesse per spiccare il volo sulla scogliera. Sulla soglia Martín mi disse che era seduto a un tavolo in fondo. Era molto comodo non dover neppure chiedere di lui.
Al tavolo in fondo, circondato da un’aura diabolica, Sebastian aveva una sigaretta tra le mani. Credo lo facesse più per completare la propria immagine che per fumare: in realtà non lo vidi mai portarsela alla bocca. Quando mi vide mi fece segno di accomodarmi.
«Ho ordinato riso nero e aragosta», esordì. «Naturalmente se preferisci qualcos’altro posso chiedere un menu.»
Gli dissi che andava bene. Quello che non gli dissi era che non avevo intenzione di toccare cibo, neanche un chicco di riso, niente che fosse pagato con i suoi soldi.
«Non mi aspettavo che volessi vedermi», aggiunsi. «Anzi, a dire il vero me lo aspettavo, non so perché.»
«Non arriveremo mai a capirci. Una riconciliazione è impossibile. Tu non perdoni e io non mi pento. Credo ci sia stato un momento in cui ci è mancata la percezione della realtà, nient’altro.»
«E mi hai fatto venire per questo?»
Il cameriere iniziò a riempire la tavola di piatti di portata. Per poco non si inginocchiò davanti a Sebastian, mentre me non mi guardò neppure.
«Ti ho fatto venire perché voglio chiederti di fare qualcosa per Sandra, la ragazza che vive con i norvegesi.» Anche lui li chiamava così, come me e Sandra. «È malata e non voglio che le succeda niente di male. Quel tempo è finito. Abbiamo perso. E il male inutile non serve a niente. Sappiamo che è la tua talpa, il tuo gancio all’interno del gruppo. Portala via, noi non vivremo per sempre. Portala via e falla visitare da un medico.»
«Sandra l’ho conosciuta in spiaggia quando viveva già con i norvegesi. Io facevo delle indagini sul loro conto, mi sono imbattuto in lei e siamo diventati amici, ma lei non sa cosa sto facendo, pensa che io sia un normalissimo vecchietto, le ricordo i suoi nonni.»
Si mise a pensare. Mi porgeva i vassoi, ma io non mi servivo, poi li rimetteva sul tavolo continuando a chiedersi se avessi detto la verità.
«Non sospetta niente?»
Non volevo dargli argomentazioni contro Sandra, non avevo intenzione di dire la verità. In casi del genere bisognava negare, negare fino alla morte.
«Niente di niente. Tu le piaci molto, ti chiama l’Angelo Nero. Non sa niente delle ss.»
«E allora perché non ti ha mai invitato a casa dei norvegesi? »
«Sì che mi ha invitato. Sono stato io a trovare delle scuse per non andare. Dovrete convincerla voi ad andarsene, io non ho nessuna autorità, senza contare che è un bel po’ che non la vedo.»
«Quella ragazza è meravigliosa», disse Sebastian. «Perché mi chiama l’Angelo Nero?»
Scossi il capo. «Forse perché ti ha visto di sera alla luce della luna e le sei sembrato migliore di tutti gli altri.»
«Migliore?» chiese con un sorriso scettico, sardonico, sgradevole. «Sono come loro, e loro non sono peggiori di molta gente che cammina per strada.»
«Be’, io sono piuttosto vecchio e non ho conosciuto nessuno peggio di voi.»
Ci servirono del riso nero aromatico, che non assaggiai. Lui ne mangiò un paio di forchettate e poi lo lasciò. Questa volta avevano portato anche vino rosso e acqua. Lui si bagnava le labbra con il vino e beveva l’acqua. Io avevo sete, ma non bevvi neppure un sorso.
«Ti dirò una cosa», riprese pulendosi con un tovagliolo bianco di lino che era un peccato spiegazzare. «Nel nostro gruppo c’è un traditore e sono contento che non sia Sandra. Sono contento che non debba capitarle niente. Sono contento che sia pura e felice.»